Spring is here again

Ed è già primavera. Cos’è successo in questi mesi? Mah, niente di eclatante. Ma ho qualcosina da raccontarvi e da consigliare.

Un concerto: a inizio febbraio ho visto Paolo Benvegnù alla Latteria Molloy di Brescia. Sono molto contento perché non vedevo il Maestro da parecchio e perché non ero mai stato in quel bel locale. Benvegnù con enormi ed evidenti (e nemmeno nascosti) problemi di voce (e forse anche di febbre), per cui la resa non è stata delle migliori. Apprezzo però il fatto che non si sia minimamente risparmiato, ha dato tutto quello che poteva e questo il pubblico l’ha capito. Un pubblico caldo, appassionato, coinvolto che, come me, si è goduto ampiamente la serata.

Un disco: e in particolare un disco dell’anno scorso, e cioè “The land, the water, the sky” di Black Belt Eagle Scout, anche questa volta uscito per Saddle Creek. I suoi primi due dischi mi erano piaciuti molto (ne ho parlato qui), e anche a questo giro il risultato è da ascoltare. I singoli estratti sono Nobody (link) e Spaces (link), invece io vi metto qui un bel live a Kexp proprio del 2023:

Un libro: ho letto con molto interesse e piacere “Vestiti musica ragazzi”, l’autobiografia di Viv Albertine (ex Slits) uscita l’anno scorso in Italia per Blackie Edizioni, in un’edizione molto curata e uno dei rari casi in cui non ci sono stati momenti in cui ho storto il naso per una traduzione percepita come fatta male (bravi tutti!). Un libro onesto diretto, necessario, punk, umano. E che vita che ha avuto Viv!

Un film, anzi due: e si tratta di due documentari musicali. Il primo si intitola “If these walls could sing”, è del 2022 e non sarebbe stato sbagliato metterci un sottotitolo citazionista come “Vulgar display of (star)power”: il film è di Mary McCartney, parla della storia egli Abbey Road Studios e, dall’alto delle sue possibilità, compaiono nomi di altissimo livello, tra cui: suo padre (ovviamente), Ringo Starr, John Williams, Elton John, Jimmy Page, Waterr-Gilmour-Mason (separati), George Lucas, i fratelli Gallagher, Nile Rogers. Da vedere, anche solo per stare ad ascoltare Paul McCarteny che racconta con passione come sono nate alcune canzoni dei Beatles.
L’altro film è “Echo in the canyon”, un documentario + esibizione live in cui Jakob Dylan, assieme a tanti ospiti (anche qui la lista è lunghissima), racconta la scena losangelina degli anni ’60. Carino ma non esaltante, sicuramente troppo celebrativo e parziale per i miei gusti.

Tirare le somme a fine anno – 2023

Ecco il consueto post festivo di liste a caso! Come ogni anno ci tengo a dire che non si tratta di una classifica vera e propria ma di un riassunto sconclusionato e per nulla serio di come è andata la mia annata musicale.

Dischi che ho ascoltato più e più volte con estrema soddisfazione:

  • Bachi Da Pietra – “Accetta e continua”
  • Blur – “The ballad of Darren”
  • Bono / Burattini – “Suono in un tempo trasfigurato”
  • Fin Del Mundo – “Todo va hacia el mar”
  • Riel – “Principio del fin”
  • Santa Chiara – “Imported”
  • Sparklehorse – “Bird machine”
  • Starving Pets – “No shake, no feels”
  • The Van Pelt – “Artisans & merchants”

Altri dischi del 2023 che ho ascoltato con piacere:

  • Arnoux – “Notturni”
  • Bar Italia – “Tracey denim”
  • Lucio Corsi – “La gente che sogna”
  • Explosions In The Sky – “End”
  • Fever Ray – “Radical Romantics”
  • Ron Gallo – “Foreground music”
  • Miss Chain & The Broken Heels – “Storms”
  • PJ Harvey – “I inside the old year dying”
  • Daniela Pes – “Spira”
  • Shame – “Food for worms”
  • Spiral XP – “It’s been a while”
  • Studio Murena – “WadiruM”
  • Yo La Tengo – “This stupid world”

Dischi del 2023 belli ma che finiscono nella categoria “un ascolto e via”:

  • The Baseball Project – “Grand Salami Time!”
  • Bully – “Lucky for you”
  • Gaz Coombes – “Turn the car around”
  • Pamplemousse – “Think of it”
  • Sigur Ros – “Atta”
  • Slowdive – “Everything is alive”
  • Slowthai – “Ugly”

Gente che sarebbe pure entrata in classifica (o forse no) se avessi avuto modo di ascoltarli (lista che mi serve anche come promemoria per il futuro):

  • A.a.V.v. – “Stagioni – Tributo ai Massimo Volume”
  • Gina Birch – “I play my bass loud”
  • Birthh – “Moonlanded”
  • Black Belt Eagle Scout – “The land, the water, the sky”
  • Emidio Clementi / Corrado Nuccini – “Motel chronicles”
  • Motta – “La musica è finita”
  • The Singer Is Dead – “IIII”
  • Teri Gender Bender – “Catspeak Ep” & “Outsiders Ep”

Il gruppo che “Ma perché non l’ho ascoltato (bene) prima?” (l’ormai noto Premio Bianconiglio):

  • Dirùpators – “Spaghettificazione” (2017)

Il disco dell’anno prima che avrebbe potuto tranquillamente essere tra i dischi dell’anno se l’avessi ascoltato al momento giusto:

  • Ada Oda – “Amore debole” (2022)

Il disco che non ho capito se lo salvo oppure no:

  • Speedy Ortiz – “Rabbit rabbit”

Il disco “Che bello sarebbe stato se l’avesse cantato qualcun altro” (detto anche Radiohead Award):

  • Non assegnato ma è bello ricordare che questo premio esiste!

Il disco su cui tutti si sono strappati le mutande e continuo a non capire come mai:

  • Boygenius – s/t

Il disco che “A quanto pare è piaciuto a tutti tranne a me”:

  • dEUS – “How to replace it”

L’uscita più innocua del 2023:

  • Motorpsycho – “Yay!”
  • Wilco – “Cousin”

Il disco che “Mi aspettavo decisamente di più”

  • Teenage Joans – “The rot that grows inside my chest”

Il disco più noisoso del 2023:

  • The Murder Capital – “Gigi’s recovery”

Il disco che “Giudizio sospeso per ora”:

  • Crosses – “Goodnight, God Bless, I Love U, Delete” (motivazione: sembra bello ma devo sentirlo meglio e con alta concentrazione)

Il disco di tributo migliore del 2023:

  • Lucio Corsi – “La gente che sogna”

Buon anno e che sia un 2024 pieno di grandi canzoni!

Che belli i concerti in cui si sta bene

Giusto due parole sui concerti che ho visto in questo 2023, non sono stati molti ma li ho apprezzati tutti.
Oramai, per scelta più che per circostanze, ho smesso di andare ai grossi eventi: troppa disorganizzazione, troppo casino, troppo hype e poca sostanza (questa estate è stata costellata di polemiche, non sto a ripetervele). Ho avuto la conferma che mi trovo bene in situazioni più piccole, in cui l’atmosfera è importante e la voglia di assistere ad una bella serata è l’imperativo. Situazioni in cui sono stato bene e sono stato felice di esserci.
I piccoli/medi festival estivi della bergamasca e del bresciano (tutti gratis!) sono perfetti per questo: dei Bee Bee Sea all’Aforest Festival di Cigole (Bs) nel ho accennato lo scorso post e sapete quanto ami quel festival.
Non posso non citare altre 4 serate.

La prima è avvenuta all’Ibalea Fest di Palazzolo sull’Oglio (sempre Bs), un festival organizzato bene, con un gran bel palco e dei suoni ottimi. Io ci sono andato per ascoltare i Jackson Pollock (devastanti, deliranti e divertentissimi come sempre) e Ron Gallo, che ha fatto un concerto favoloso. Non lo conoscevo, è stata una scoperta e (più o meno indirettamente) mi ha fatto conoscere anche Santa Chiara.

La seconda è la serata Brembeat & Roll a Libera la Festa di Osio Sopra (Bg), in cui ho visto probabilmente il concerto più divertente dell’anno, quello delle Courettes, un trascinante duo danese/brasiliano di rock’n’roll/garage che mi ha entusiasmato dal primo all’ultimo minuto!

Per la terza serata torniamo da una band che conosco già da un po’: le Gogoponies e il loro concerto a Rock In Rili a Chiuduno (Bg): nuova formazione ma sempre una certezza!

Chiudo con l’ultima serata, diversa, più bizzarra in termini di location (un freddo garage di una villetta privata, ma almeno si sentiva bene): il concerto delle Fin del Mundo, band argentina in tour in Italia per promuovere finalmente il primo disco fisico “Todo va hacia el mar” (pubblicato dalla spagnola Spinda Records e che raccoglie i primi loro due Ep). Ne avevo parlato nel precedente post, le avevo intervistate a gennaio e adesso ho potuto chiacchierarci dal vivo, prima e dopo un set molto bello anche se quasi deserto (non più di una decina di persone nel pubblico, sarà che le hanno fatte iniziare con più di due ore di ritardo, a mezzanotte passata?). Ma va bene così (detto alla Lundini), loro sono adorabili e la loro musica anche.

Menzione a parte per il Punk Rock Raduno a Bergamo, sempre un festival che ti apre il cuore e ti fa muovere il culo!

Di questi festival mi porto a casa delle belle sensazioni, ottima musica, un senso di star bene incredibile, le chiacchierate con i musicisti. E ovviamente mi porto a casa anche del merchandising: vinili, magliette, borse, adesivi, comprati per supportare le band che mi sono piaciute. A volte le magliette erano fuori taglia (Sono rimaste solo le XL, ci spiace), ma il gesto valeva più della maglietta in sé.
Supportate le band che vi piacciono, sempre!

Toh, chi si rivede!

Sono passati mesi dall’ultimo post, non ricordo un periodo di pausa così lungo qui dentro.
Shame on me, ovviamente, ma ho avuto pochissimo tempo (Buuuuu, tutte scuseeeeeee. Lo so)
Cos’è successo in questi mesi?

È morto Luca Bergia (rip) e mi spiace un sacco.

Ho visto qualche conserto, soprattutto è sempre un piacere andare al A Forest Festival, dove mi sono goduto soprattutto due gruppi del Mantovano (è un caso?): A/lpaca e Bee Bee Sea. Questi ultimi dal vivo sono incredibili, hanno un tiro della madonna e soprattutto la capacità di creare un’atmosfera di sano divertimento. E ogni volta che sento questa loro cover di Piangi con me mi rimane in testa per giorni (adesso anche a voi).

Ho ascoltato meno musica di quanto volessi. Non ho trovato dischi del 2023 particolarmente interessanti ma i miei ascolti sono andati nella direzione albiceleste, grazie anche ad un articolo con intervista che ho scritto per Extended Play e dedicato a due band argentine: i Riel, di cui è uscito “Principio del fin” (il loro ultimo disco) giusto un paio di mesi fa (consigliato), e le Fin Del Mundo, di cui sto ascoltando a rotazione i due Ep (non hanno pubblicato altro ma ascoltatevele!) e di cui vi consiglio il live Kexp (qui sotto).

A proposito di Extended Play: vi consiglio questi due articoli:
uno scritto da me sulle fanzine (con Valeria Foschetti della Fanzinoteca La Pipette Noir come ospite speciale)
uno su Kexp (sì, ancora loro), che è oramai è per me di riferimento nel modo di approcciare la musica. Una radio ma non solo (e che ascolto tantissimo).

Direi che per adesso basta così, ci riaggiorniamo a breve (si spera).

Giovane, ingenua, viziata dalla vita

Se avessi ascoltato prima “Amore debole” degli Ada Oda, uscito nel 2022, sarebbe tranquillamente andato nella mia top dischi dell’anno scorso.

L’esordio di questo gruppo belga, capitanato da Victoria Barracato (di origini siciliane) e cantato interamente in italiano, mi ha conquistato e divertito.

Un bizzarro scontro tra indie pop, post punk anni ’80 e chanson italiana, ma ben riuscito. Li ho conosciuti dalla title-track (gran bel pezzo), ma ci sono altre tracce notevoli nel disco (Non so che cosa ne sarà di me è la mia preferita, ma ascoltatevi anche gli altri singoli Avevo torto e Niente da offrire), e soprattutto non c’è una canzone brutta!

Tirare le somme a fine anno – 2022

Ecco il consueto post festivo di liste a caso! Come ogni anno ci tengo a dire che non si tratta di una classifica vera e propria ma di un riassunto sconclusionato e per nulla serio di come è andata la mia annata musicale.

Ovviamente siete invogliati a scrivere nei commenti i consigli di dischi che ho bucato ma che meritano di essere ascoltati.

Dischi che ho ascoltato più e più volte con estrema soddisfazione:

  • Bodega – “Broken equipment”
  • Fontaines D.C. – “Skinty fia”
  • Gogoponies – “The greatest”
  • Los Bitchos – “Let the Festivities Begin!”

Altri dischi del 2022 che ho ascoltato con piacere:

  • !Housebroken – “L’altro ieri: distacco”
  • Manuel Agnelli – “Ama il prossimo tuo come te stesso”
  • Dry Cleaning – “Stumpwork”
  • Hammered Hulls – “Careening”
  • Horsegirl – “Versions of modern performance”
  • King Hannah – “I’m not sorry, I was just being me”
  • Muschio – “Acufene3”
  • Pixies – “Doggerel”
  • Suede – “Autofiction”
  • Yard Act – “The overload”

Dischi del 2022 che finiscono nella categoria “un ascolto e via”:

  • Alvvays – “Blue rev”
  • Arctic Monkeys – “The car”
  • Black Country, New Road – “Ants from up there”
  • Big Thief – “Dragon new warm mountain I believe in you”
  • Maya Hawke – “The moss”
  • Madrugada – “Chimes at midnight”
  • The Wombats – “Fix yourself, not the world”

Gente che sarebbe pure entrata in classifica (o forse no) se avessi avuto modo di ascoltarli (lista che mi serve anche come promemoria per il futuro):

  • The Afghan Whigs – “How do you burn?”
  • Calexico – “El mirador”
  • Comaneci – “Anguille”
  • Dagger Moth – “The sun is a violent place”
  • Labradors – “Retriever”
  • Lambchop – “The bible”
  • Kevin Morby – “This is a photograph”
  • Oneida – “Success”
  • Post Nebbia – “Entropia Padrepio”
  • Jon Spencer & The HITmakers – “Spencer Gets It Lit”
  • Teri Gender Bender – “State of fear” (Ep)
  • Wilco – “Cruel country”

Il gruppo che “Ma perché non l’ho ascoltato (bene) prima?” (l’ormai noto Premio Bianconiglio):

  • Mother Island

Il disco dell’anno prima che avrebbe potuto tranquillamente essere tra i dischi dell’anno se l’avessi ascoltato al momento giusto:

  • Cristina Donà – “deSidera” (2021)

Il disco più paraculo del 2022:

  • Wet Leg – s/t

Il disco che non ho capito se lo salvo oppure no:

  • Sharon Van Etten – “We’ve been going about this all wrong”

Il disco “Che bello sarebbe stato se l’avesse cantato qualcun altro” (detto anche Radiohead Award):

  • The Smile – “A light for attracting attention”

Il disco che “Volevo ascoltarlo ma solo il testo del singolo mi ha fatto incazzare talmente tanto che non ho nemmeno iniziato”:

  • Verdena – “Volevo magia”

L’uscita più innocua del 2022

  • Jack White – “Fear of the Dawn”

Il disco che “Vederli dal vivo mi hanno annoiato e non so se ascoltare l’album”

  • Messa – “Close”

Il disco più noisoso del 2022

  • Yeah Yeah Yeahs – “Cool it down”

I concerti del 2022 che mi hanno entusiasmato:

  • Gogoponies @ Weinkeller Mayr – Brunico (Bz)
  • Guitar Wolf @ Bloom – Mezzago (Mb)
  • Horse Lords @ A Forest Festival – Cigole (Bs)
  • The Bobby Lees @ Punk Rock Raduno – Bergamo (Bg)

Buon anno e che sia un 2023 pieno di grandi canzoni!

Come non si scrive un libro

Ho finito di leggere “Percorsi musicali indipendenti”, libro scritto da Edo Rossi e pubblicato nel 2009 da Chinaski Edizioni.
Edo Rossi è stata una storica voce di Rock Fm (quanto ci manca quella radio!) e qui raccoglie testimonianze legate agli esordi di tanti musicisti e artisti indipendenti italiani. Il sottotitolo infatti è: Dal buio delle cantine alle luci della ribalta”. Di per sé l’idea è buona e il tema interessante, ma in questo libro ci sono più problemi che cose positive.

Ok, partiamo.

Innanzitutto suppongo si tratta di una serie di testimonianze raccolte negli anni tramite intervista “vocale”. Il linguaggio scritto è una fedele trascrizione di quello parlato, pause, omissioni, frasi a metà comprese. Come se ogni passaggio fosse stato sbobinato da uno stagista e mandato in stampa senza la minima revisione.
E infatti è pieno zeppo di refusi ma, ancora peggio, di titoli errati e nomi di gruppi sbagliati (troppi da citare e questa cosa mi ha innervosito troppo per riderci sopra).

Insomma, è un libro musicale pubblicato nel 2009, quanto ci vorrà a fare un controllo su internet per capire se quel titolo del disco è corretto? Se il nome del gruppo è scritto giusto? Probabilmente è stata considerata come una cosa superflua da parte sia di Rossi sia di Chinaski.

Non penso di aver mai letto un libro che mi ha trasmesso così tanta sciatteria in fase di scrittura e preparazione: non c’è stato un controllo, non c’è stata una rilettura, nessun editor ci ha messo le mani e neppure un correttore di bozze. E mancano pure delle pagine (o meglio: i numeri sono corretti ma è ovvio che una parte è rimasta fuori dalla stampa oppure che la pagina 124 sia stata per sbaglio sostituita da un testo che nulla ha a che fare con le pagine precedenti e seguenti)!

La cosa scandalosa è che questo libro è stato pure premiato in quell’anno “miglior libro indie dell’anno” dal M.E.I. di Faenza (questo vi fa capire la credibilità del Mei, allora e oggi).

L’unica cosa che si salva? Il capitolo dedicato a Max Casacci.

Insomma, il prezzo di listino è 13 €, l’ho comprato in supersconto a 3,37 € e direi che è andata bene così. Se vi chiedono di più è decisamente una rapina.

Serate psichedeliche

La prima volta che ho visto i Nebula era il lontano 2003, al “Motion” di Zingonia. Di spalla i 5wd (ma quanto ci mancano!) e i Winnebago Deal. Da allora sono passati 19 anni e i Nebula nel frattempo si sono sciolti, si sono riuniti, hanno cambiato 1 bassista e 4 batteristi (ovviamente Eddie Glass è l’unico componente superstite), hanno fatto uscire 4 dischi in studio e due live.

Di quella serata ricordo di aver apprezzato le tre esibizioni, ma la cosa che più mi è rimasta in testa è il surreale post-concerto: con Blixa ci siamo infilati nel backstage e, tra tutte le cose, ricordo l’animata discussione che una ragazza italiana stava portando avanti con l’autista inglese della band sul ruolo degli inglesi nella liberazione dell’Italia nella seconda guerra mondiale. Per la serie: lui diceva “Vi abbiamo salvato il culo” e lei ribatteva “Non siete stati voi e comunque ce lo stavamo salvando da soli”. Non so come sia iniziata questa discussione, sembrava una di quegli scontri dialettici serissimi che si fanno solo da alticci. Lei ci ha anche chiesto una mano per portare argomenti contro la RAF ma abbiamo gentilmente declinato.

Un po’ surreale è stata anche la mia seconda volta con i Nebula, pochi giorni fa. A partire dal luogo, l’Altroquando di Zero Branco (LOL) in provincia di Treviso: una trattoria in cui passano band di un certo livello e musica di un certo peso. Come se il proprietario avesse detto: “Da queste parti non passa nessuno, ci penso io” oppure “Mi tocca lavorare di sera, devo trovare un modo per vedermi i concerti che mi piacciono”. In ogni caso apprezzo la loro politica “no cover band”.

La serata stoner in questione è stata organizzata dalla GoDownRecords e prima dei Nebula si sono esibiti i Quiet Confusion (carini), i Mother Island (mi sono piaciuti un sacco e vorrei rivederli visto che la loro esibizione è stata infastidita dalla pioggia) e gli eroi locali Messa (bravi eh, ma mi hanno un po’ asciugato).

Poi i Nebula hanno messo in campo tutte le loro qualità e le capacità di farti fare un viaggio psichedelico. Finché è successo qualcosa che non ho ben capito. Ad un certo punto Eddie Glass parla dell’arrivo della polizia che vuole interrompere lo show (ma non ho visto nulla di strano, nemmeno i lampeggianti azzurri), chiede al pubblico se sia il caso di continuare a suonare e, dopo la reazione scontata, fa un altro pezzo. Alla fine di questo accendono tutte le luci dell’Altroquando, come se il concerto dovesse essere terminato. Di sbirri non ne ho visti nemmeno in quel frangente. I Nebula non si fermano nemmeno in quel momento, eseguono ancora una canzone e poi fine. Una conclusione effettivamente che ha saputo di chiusura affrettata ma io sinceramente non ho capito nulla.

Il giorno dopo, sul loro profilo IG, la band scrive che “the cops shut down the show last night in Altroquando”. Non ho trovato spiegazioni o commenti sulla serata di ieri. Chissà cosa succederà al mio prossimo concerto dei Nebula, magari in un futuro prossimo e senza lasciar passare così tanto tempo.

Fare il pieno di musica e sorrisi

Voglio parlare di due festival che hanno una cosa in comune: non è la location, né il tipo di proposta musicale.

Ma allora cos’è?

La capacità di far sentire a casa la gente che vi partecipa, come una festa tra amici veri, piena di momenti che ti scaldano il cuore. C’è quella sensazione di stare bene e la frase che ho ripetuto di più in quei frangenti è “Che bello essere qui”.
Insomma, in Italia non saremo capaci di fare i grossi festival o le rassegne (se siete andati o avete testimonianze di prima mano, tra token, organizzazione scandalosa, spazi e tempi gestiti male, prezzi folli, eccetera… beh sapete di cosa parlo), però ad un livello più piccolo ci sono delle cose favolose.

I due festival sono l’A Forest Festival e il Punk Rock Raduno, ma sicuramente ce ne sono altri in giro che riescono ad avere quell’atmosfera rilassata e un mood felice. E sono pure gratis.

L’A Forest Festival si è tenuto a Cigole a giugno, è stata la prima edizione ma in realtà nasce in completa continuità con il mitico (e da me stra-amato) No Silenz Festival, che per tante edizioni ha allietato e movimentato le estati della bassa bresciana. La capacità di scegliere e selezionare band e progetti musicali interessanti è rimasta inalterata. Anche il luogo è rimasto lo stesso, il bellissimo parco della Villa Cigola Martinoni, così come la decisione di avere un festival completamente gratuito, un ottimo servizio ristorazione, bancarelle non banali e un’atmosfera incredibile.
Sono riuscito a partecipare alla terza e ultima serata, quella di sabato 11 giugno. Sul palco si sono alternati tre gruppi che non conoscevo ma che ho apprezzato. Ma che bella questa cosa che posso fidarmi al 100% della scelta di un festival sapendo che, chiunque suoni, il livello sarà alto?
Le tre band in questione sono state capaci di entusiasmare il pubblico in tre modi completamente diversi: gli Xwit con il loro alternative rock psichedelico, l’indiepunk / garage dei Jackson Pollock, il trip avant garde / math / psych degli americani Horse Lords, hanno reso questa prima edizione indimenticabile.

Settimana scorsa invece si è tenuta la quinta edizione del Punk Rock Raduno, a Bergamo, organizzato dai ragazzi dell’Edonè. Anche in questo caso sono riuscito ad assistere all’ultima giornata (la quarta, quella di domenica 17 luglio) ma, diversamente dal caso precedente, sono andato specificatamente per vedere i Bobby Lees, un giovanissimo quartetto che nel 2020 ha esordito con “Skin suit”, prodotto da Jon Spencer, e che recentemente ha pubblicato su Ipecac l’EP “Hollywood Junkyard”.I 4 ragazzi di New York non mi hanno deluso: il loro set è durato solo mezz’ora ma è stato infuocato, coinvolgente e ci ha lasciato senza respiro, pieni di adrenalina e con la voglia di vederli ancora, al più presto possibile, in un concerto più lungo. Speriamo tornino presto da queste parti!

Insomma, complimenti agli organizzatori, agli addetti ai lavori, ai ragazzi che si sono occupati della cucina, del bar, i gestori delle bancarelle e dei banchetti, e a tutti quelli che mi hanno fatto passare dei momenti fantastici e mi hanno fatto fare il pieno di musica e sorrisi. Questi sono i motivi per cui amo i piccoli festival fatti bene, col cuore ma anche con tanta testa e professionalità. E, voglio ricordarlo, sono stati due festival ad ingresso completamente GRATUITO!

E voi, avete piccoli/medi festival che amate particolarmente?

Insalatone italiane #17

Ho saltato completamente aprile, è bastato un battito di ciglia ed eccoci a metà maggio. Nemmeno mi ricordo che musica sto ascoltando, colpa di ascolti spezzettati e poco tempo.
Ne dico alcuni a caso, se la memoria mi aiuta, partendo da cose ascoltate oramai tempo fa.

Ad esempio il primo lavoro di Joan Thiele, l’EP omonimo del 2016, quello in cui ancora cantava in inglese (ed era sotto contratto con Emi). Fun fact non troppo fun: lei era il primo nome che volevamo intervistare per EP ma non siamo riusciti a contattarla: su Instagram (l’unico social che usa oramai) ci ha ignorato a più riprese, altre vie non ne abbiamo trovate. Se siete in contatto con lei fatemi un fischio, le domande le abbiamo già pronte da 8 mesi.

Ho rimesso su dopo tanto tempo il primo disco di Motta, “La fine dei vent’anni” (2016) e non me lo ricordavo così bello.

E a proposito di dischi belli, ho comprato il cd di “Numero deux” (2001), bellissimo lavoro di quel progetto chiamato Dining Rooms. Favoloso.

Spostandoci in lidi più recenti “Canale paesaggi” (2020) dei Post Nebbia mi è piaciuto: è moderno ma non solo, è un bel miscuglio di tante cose ma dosato alla grande.

Spano invece è un progetto del 2021 di musica ambient costituito da Paolo Spaccamonti e Fano, da ascoltare.

Vi consiglio anche “DeSidera” di Cristina Donà, uscito a fine 2021, che poteva entrare facilmente in tante classifiche, ne sono sicuro.

Chiudiamo con le Gogoponies, che finalmente hanno fatto uscire musica in formato, dopo anni di concerti e merchandising meraviglioso (l’avete letto questo articolo, vero?). Il disco si chiama “The greatest” e per l’acquisto propongono anche dei gustosi bundle, io ho optato per quello vinile + cd e sono molto contento. Attenzione: il cd contiene 4 pezzi in più rispetto al vinile che non si possono perdere!

And the rain runnin’ down

Non ho mai nascosto il mio amore per quella che considero la più bella one hit wonder di tutti i tempi: ’74-’75 dei Connels. Canzone grandiosa oramai per me non più separabile da un video famoso e iconico (link per chi non se lo ricorda, anche se è una versione di qualità indegna).

Il video è stato girato nel 1993 alla Needham B. Broughton High School a Raleigh (Carolina del Nord), città natale della band, e presenta membri della classe del 1975 grazie ad un mix di immagini d’epoca dell’annuario e filmati recenti delle stesse persone a quasi 20 anni di distanza.

Vent’anni sono tanti, vero?

Quel video mi è sempre piaciuto, fin da quando l’ho visto la prima volta su Mtv, a metà degli anni ‘90. Col passare del tempo il mio apprezzamento ha continuato a crescere: mentre diventavo più grande (e più vecchio) mi sembrava di comprenderlo meglio e contemporaneamente di accusare sempre di più il colpo e il significato che quelle immagini mi trasmettevano.

Adesso comprendo meglio quei quasi 20 anni passati.
Guardare adesso quel video per me è struggente, perché ho capito (e imparato a mie spese) come il tempo passa e incide sulle persone, ho compreso come le vite cambiano, si trasformano, si modificano, spesso in modo imprevisto e non felice.

Ma sapete cosa è ancora più struggente?

Ebbene, nel 2015, per celebrare il 40° anniversario della classe 1974-1975, è stato pubblicato una nuova versione del video, in cui vediamo i membri del gruppo e le stese persone nel 2015, 22 anni dopo l’uscita del video originale.

Un mix che ci mostra:
-i ragazzi del 1975, quando avevano (circa) 20 anni
-gli adulti nel 1993, a 38 anni
-gli stessi, ancora più adulti, a 60 anni.

Il video è devastante e lo scorrere del tempo è inesorabile, sia per chi è presente, sia per chi nel frattempo se n’è già andato. Immagini che, in poco più di tre minuti, spiegano benissimo cos’è la vita e ti fanno capire cosa sono 40 anni per una persona. Mentre lo guardo mi riempio di domande sul futuro e di strette allo stomaco.

Un video da lacrime agli occhi e groppo in gola.

When I look on in your eyes then I find that I’ll do fine
When I look on in your eyes then I’ll do better