Siamo già arrivati a ottobre, il tempo corre veloce e qui sul blog sto latitando.
Sono in fase nostalgia e ascolto dischi vecchi. Poi mi dico “Adesso basta!” e mi metto ad ascoltare novità, ma niente che mi prende particolarmente. Però continuo a consumare “bi/MENTAL” firmato Le Butcherettes e se non è il miglior disco del 2019 poco ci manca, dai.
Torno nei miei lidi, prometto che prossimamente ci sarà un post insalatonico, oppure uno sui libri musicali che ho letto nell’ultimo periodo o almeno quello sui film/documentari musicali che ho in cantiere da fin troppo tempo.
Aspettatemi che arrivo eh, devo solo trovare un momento in cui sono forte abbastanza. Nel frattempo ecco qua:
Andiamo di recuperi dell’anno appena conclusosi? Sì dai.
Ecco “Schlagenheim” dei Black Midi, giovane gruppo inglese che mischia tante cose assieme (math rock, post punk, noise, alternative, experimental rock) ma è riuscito a farlo in modo eccellente, senza buttare dentro robe a caso a forza ma tirando fuori nove pezzi di pregio
Ma veniamo ai Lite, quel grandioso gruppo math rock giapponese: a maggio 2019 è uscito il loro sesto disco e si intitola “Multiple”. Anch’esso è ascoltabile in streaming sul loro bandcamp. Che dire? Si riconfermano una band fighissima e divertentissima da ascoltare. Questo lavoro secondo me non raggiunge le vette del precedente “Cubic” però è un signor disco. Apprezzo anche il loro tentativo (riuscito) di smarcarsi da quella formula provando a intraprendere qualche divagazione inaspettata. Ascoltatelo che merita! Ora mi piacerebbe rivederli dal vivo, l’altra volta è stato un concerto della stramadonna, ma a quanto pare non ci sono tour europei in programma (e anche se ci fossero ci sarebbe quell’altro problema un po’ più grosso).
Pareri su “Free” di Iggy Pop? Trascinato da un singolo che è stato in heavy rotation un po’ ovunque (James Bond), il lavoro è pieno di idee ma sviluppate male. Da un personaggio come lui mi sarei aspettato maggiore coraggio, avrebbe dovuto andare all in e spingere tantissimo su quegli spunti interessanti sparsi qua e là. Invece ha tirato indietro il braccio (soprattutto sulle parti vocali) accontentandosi di fare un lavoretto che alla fine risulta un po’ insipido.
Ok, ora parliamo di un recupero essenziale e cioè “bi/MENTAL” firmato Le Butcherettes. Sapete che vi dico? È un gran disco e mi è rimasto fisso nello stereo della macchina per una settimana. Teri Gender Bender ha una personalità strepitosa, fortissima (anche se non lo scopriamo mica adesso), e sa scrivere delle gran linee vocali. Da mettere tra i lavori più interessanti dell’anno passato, senza dubbio. E che copertina fantastica!
Ho scoperto Katherine Paul in arte Black Belt Eagle Scout tramite Kexp (grazie come sempre!) che ha trasmesso una gran bella canzone initolata Indians never die (la metto sotto) e così ho iniziato a informarmi su di lei: è una cantante/songwriter/mustistrumentista di Portland (Wa) di origine indiane Swinomish/Iñupiaq che per ora ha prodotto un Ep omonimo d’esordio nel 2014 (che non ho ascoltato) e in seguito due bei dischi intitolati “Mother of my children” (2017) e “At the party with my brown friends” (2019). Provate ad ascoltarla, non ve ne pentirete.
L’ultimo disco di cui parliamo non è un recupero (ce ne saranno ancora in futuro, non disperate) ma è uscito il 21 febbraio: si tratta di “Echo mine” dei Califone. La band di Chicago torna con un buon disco. Ho sempre difficoltà ad ascoltarli per un album intero (problema mio probabilmente), ma a piccole dosi sembra molto intrigante. Il primo singolo è Snow angel:
Iniziamo subito con la notizia migliore: sto parlando dei Coriky, il cui disco omonimo e d’esordio promette senza dubbio di essere uno dei dischi dell’anno. Perché dico così? Perché si tratta di un progetto collaterale formato da Amy Farina (batteria, voce), Joe Lally (basso, voce), Ian MacKaye (chitarra, voce). Il primo disco omonimo uscirà il 27 marzo ma si può ascoltare Clean Kill, la traccia di apertura del disco, sul bandcamp della Dischord è un gran bel pezzo.
Rimaniamo nel nuovo continente: dopo il disco dell’anno scorso (ne parlerò prossimamente) Le Butcherettes non perdono tempo e il 14 febbraio hanno fatto uscire un Ep intitolato “Don’t bleed”, contenente 7 pezzi. Due i singoli, entrambi belli. Il primo è Tunisia, che ha anche un ottimo video:
Il secondo è Don’t Bleed, You’re In The Middle Of The Forest:
E in Italia? A marzo Paolo Benvegnù tornerà con un nuovo disco intitolato “Dell’odio e dell’innocenza” (su Black Candy Records), speriamo bene (le aspettative da parte mia sono comunque basse). Il primo singolo è Pietre, mi sembra molto buono e un po’ vecchio stile:
Impossibile non citare anche il ritorno dei Pearl Jam, soprattutto perché i due singoli del nuovo disco, intitolato “Gigaton” e in uscita il 27 maggio, dimostrano un cambio di direzione nel suono e nello stile. Il primo è Dance of the clayrvoiants (PJ incontrano i Talking Heads?):
Il secondo è Superblood Wolfmoon:
Dai, due righe anche sugli Strokes, negli ultimi anni diventati una completa macchietta. “The New Abnormal” uscirà il 10 aprile e il primo singolo è Bad Decisions. Prima di ascoltarlo mi sono chiesto: Quando è stata l’ultima volta che gli Strokes hanno fatto uscire un singolo decente? La risposta la so ma non la dico. Intanto diciamo che la canzone non è malissimo, meglio di quelle che hanno fatto uscire negli ultimi 15 anni. Ma era facile dai. Però è un pezzo che muore appena finisce, senza farti dire: oh riascoltiamolo! Come tutto quello che hanno fatto uscire negli ultimi 15 anni.
Chiudiamo con il ritorno di Isobel Campbell solista dopo ben 13 anni, finalmente! Se invece contiamo l’ultimo lavoro fatto con Mark Lanegan allora gli anni sono “solo” dieci. “This is no other” in realtà anche questo è già uscito il 30 gennaio, anticipato anche qui da due singoli, Ant Life:
Nuovi dischi in arrivo per:
*Amiina: si intitolerà “Fantomas” e uscirà il 25 novembre per Mengi, un progetto interessante di cui conoscevo poco. Si possono ascoltare delle preview di ogni pezzo qui e l’impressione è ottima.
*Lee Ranaldo: nuovo disco entro fine anno intitolato “Electric trim” (di cui non ho capito la data di uscita esatta né l’etichetta) e nuova band di accompagnamento in tour (El Rayo), formata dallo spagnolo multistrumentista Raul ‘Refree’ Fernandez (anche produttore del disco assieme a Lee) e Cayo Machancoses. Nel disco invece ci sono contributi del vecchi e validi compari dei Dust (Steve Shelley, Alan Licht, Tim Luntzel), ma anche di Nels Cline, Sharon Van Etten e Kid Millions.
*Crystal Fairy: è un supergruppo formato da Buzz Osborne e Dale Crover (Melvins) + Omar Rodriguez-Lopez (At The Drive-In, Mars Volta e mille altri progetti) e Teri Gender Bender (Le Butcherettes) che pubblicherà a febbraio 2017 un omonimo disco d’esordio. Per adesso si può ascoltare Drugs on the bus, un ottimo pezzo che promette benissimo.
E almeno quelle mille persone, provenienti da ogni parte d’Italia e non solo, erano giovedì sera al Fabrique per l’attesissimo e unico concerto italiano degli At The Drive-In.
Aprono puntuali (e presto, come piace a noi giovani vecchi) Le Butcherettes: tutto lo show è sulle spalle di Teri Gender Bender che canta, grida, si agita, suona, scende tra il pubblico, balla. I suoi compagni al basso e batteria, vestiti tutti di rosso come lei, macinano basi ritmiche su cui lei aggiunge di tutto. Un buon set per scaldare il pubblico che a poco a poco riempie il locale.
E poi giunge il momento, dopo un’attesa che si portava avanti da troppi anni. Gli At The Drive-In hanno fatto un concerto bomba, senza risparmiarsi e dimostrando che fare una breve reunion con tour solo per soldi non è per forza una cosa negativa se si fanno degli show con così tanta passione. L’assenza di Jim Ward non è pesata, quello che ha fatto un po’ storcere il naso in molti è stata la resa acustica visto che i primi tre pezzi sono stati pessimi da quel punto di vista (ma poi la situazione per fortuna è migliorata). Sono inezie però di fronte a un’ora e venti di show incendiario e una scaletta perfetta (mancava solo Non-zero possibilities ma va bene così dai).
È stato il concerto delle braccia in alto, il dito al cielo e i testi urlati, tanta partecipazione e tanta gioia. Raramente ho sentito un’unione così stretta tra pubblico e band, un senso di appartenenza che è stato coltivato in tutti questi anni. Perché diciamolo, a parte qualche giovane o molto giovane, era un concerto sentito al 200% soprattutto da chi quel disco l’ha amato e vissuto dal primo momento, un sentimento coltivato per tanti anni che è uscito prepotentemente l’altra sera.
Pezzo migliore della serata: Invalid litter dept. davvero da brividi.
Nota a margine: il banchetto ufficiale non vendeva musica (come è oramai di moda ai concerti), però aveva delle magliette davvero belle a cui non sono riuscito a resistere.
Due dischi due!
–Ex Hex – “Rips” (2014): un disco divertente, da ascoltare senza patemi. Non c’è da cercarci dentro grandi cose, non ci sono pretese. Solo il divertimento di passare mezz’ora in allegria con Mary Timony e compagne di avventura. Un pregio, un limite, un sorriso e basta. Pezzo preferito: sicuramente il singolo Hot and cold.
– Le Butcherettes – “Cry is for the flies” (2014): non mi aspettavo grandi cose dopo il piacevole “Sin sin sin” del 2011, invece Teri Gender Bender tira fuori un disco più oscuro e meno punk/rock. Non immediato, non trascinante. I pezzi più accessibili sono nella seconda parte, nella prima invece il mood è più dark (se si può associare un termine del genere a loro). Un po’ ambizioso ma il problema è che purtroppo non si tratta di un disco a fuoco.
Uno dei dischi più freschi sentiti in questo 2011 è sicuramente “Sin sin sin”, il debutto della band (originariamente messicana) Le Butcherettes, prodotto (per la cronaca) da quel capellone di Omar Rodriguez-Lopez che ci ha pure suonato il basso. Si racconta che la band sia nata a Guadalajara dalla riot ggrl Teri Gender Bender (in realtà più prosaicamente Teresa Suarez) e un’altra tizia messicana, autrici di concerti folli in cui tentavano di criticare la condizione schiavistica della donna moderna utilizzando grembiuli insanguinati, piumini, scope, sangue finto, teste di maiale, uova, farina e altre amenità. Nonostante diventino una band di culto nell’underground messicano la batterista lascia e TGB si trasferisce a Los Angeles decidendo di ricominciare da capo con nuovi musicisti (uomini). Ma non lasciatevi confondere dal nome, non hanno nulla a spartire con gruppi come Pipettes, Ronettes, Braillettes, Bobbettes, Marvelettes, Royalettes (giuro che esistono tutti), piuttosto potremmo citare affinità ai primi Yeah Yeah Yeahs, alla Pj Harvey di “Dry” o alle Sleater-Kinney più classiche. Parentesi/Dubbio: ma sono da considerare (per esempio nella mia lista divisa per nazionalità) un gruppo messicano o uno americano? Dicevo che il disco è molto piacevole, divertente da ascoltare, per nulla stancante (come invece mi accade di fronte a tante uscite contemporanee). Alcune canzoni molto molto belle (Henry don’t got love, I’m getting sick of you e The actress that ate Rousseau), altre magari che apprezzo meno (The Leibniz language e la conclusiva Mr. Tolstoi) ma le 13 tracce si ascoltano d’un fiato. Ascoltatelo pure in streaming su bandcamp.